Per quanto possa venire naturale pensare alle vetture ibride ed elettriche come alla più forte espressione della moderna tecnologia, questo sistema affonda le sue radici agli inizi del secolo scorso. Era il 1900 quando a Parigi veniva presentata la Lohner-Porsche. Il primo veicolo ibrido della storia. Era spinto da due motori elettrici posizionati sulle ruote anteriori e alimentati da un pacco batterie, che dipendeva a sua volta da un motore a benzina. Il lancio della vettura creò grande scalpore anche grazie alla sua partecipazione a diverse competizioni. L’evoluzione di questo modello, la Lohner “Semper Vivus”, sfruttava il medesimo schema della Lohner-Porsch, ma puntando su un powertrain 100% elettrico. Ma il suo prezzo elevato non le permise di affermarsi sotto il profilo commerciale, mentre la convenienza economica delle auto con il solo motore termico, escluse la propulsione ibrida ed elettrica dal mercato per quasi un secolo. Negli ultimi trent’anni, però, la crescente preoccupazione per inquinamento del pianeta ha riportato il sistema ibrido alla ribalta.
La prima della specie
Ma c’è stato un modello che, cronologicamente, è venuto ancora prima della Lohner-Porsche. era il 1884 e Thomas Edison presentava al mondo la prima vettura completamente elettrica della storia. Questa era alimentata da quello che venne battezzato come Generatore Piromagnetico che, di fatto, funzionava come un alternatore ma al contrario. L’energia, invece, veniva stipata all’interno di una batteria Nichel-Alcalina più compatta, leggera e affidabile di quelle al piombo in uso all’epoca. Il modello era in grado di percorrere fino a 170 km con una carica completa, ad una velocità massima di 40 km/h. Ad inizio secolo l’entusiasmo intorno all’elettrico era tanto. In molti puntavano su questo tipo di alimentazione, al punto che nel 1899 l’auto più veloce al mondo era proprio un’elettrica. Si trattava della “Jamais Contente”, che nel 1899 superò per la prima volta il muro dei 100 km/h.
I primi esperimenti moderni
Tuttavia, il costo di produzione del pacco batteria e l’efficienza ridotta di questa, misero un freno allo sviluppo delle auto elettriche, decretando così il successo delle più economiche vetture alimentate a benzina. Per quasi cento anni, quindi, il mondo della mobilità rimase legato all’utilizzo di combustibili fossili, fatta eccezione per alcuni sporadici test condotti da alcuni costruttori. Tra questi ricordiamo Fiat, che nel 1972 presentava la X1/23, una microcar a due posti con un motore elettrico da 10 kW montato sull’asse anteriore, un peso di appena 820 kg per un’autonomia di 70 km.
Si inizia a fare sul serio
Ma è solo negli anni Novanta che i costruttori iniziano a guardare all’elettrico come una vera strada per il futuro per la mobilità. In questo periodo, infatti, in molti si cimentano nella produzione di modelli in piccola serie, andando quindi oltre lo stato prototipale. Tra questi c’è ancora una volta Fiat con la Panda Elettra, alimentata da una batteria al piombo e da un motore da 14 kW per un’autonomia di 100 km/h. Dopo di lei arrivarono la Cinquecento e la Seicento Elettra, entrambe con un’autonomia di 100 km. Anche Mercedes negli anni Novanta puntò sull’elettrico con la 190E Elektro. Era alimentata da una batteria al cloruro di sodio e nichel che dava energia a due motori posteriori per una potenza totale di 44 CV. L’autonomia era di 250 km, mentre la velocità massima raggiungeva i 130 km/h. Il resto è storia dei nostri tempi.