«Sono sicuro che sui dazi faremo un accordo commerciale equo con l’Ue». Le parole di conciliazione di Donald Trump arrivano dopo settimane frenetiche. Giovedì 17 aprile alla Casa bianca, in occasione dell’incontro con la premier italiana Giorgia Meloni, il presidente Usa ha lasciato aperta una chance di negoziato sulle tariffe automotive.
Solo pochi giorni fa aveva gelato l’Unione Europea con una risposta di segno opposto: di fronte alla proposta di Bruxelles di azzerare le sovra-tariffe sul mercato dell’auto e sulla componentistica, il presidente americano aveva detto di no senza troppi indugi. E dunque, che succede ora? Quanto è affidabile Trump? Il balletto degli Stati Uniti tiene in pugno il mondo, e soprattutto il settore automotive sta cercando di capire come reagire.
Ford, per esempio, corre ai ripari invitando i clienti americani ad acquistare i propri veicoli a prezzo super scontato, mentre Nissan ha deciso di tagliare la produzione della Rogue, il modello della Casa nipponica più venduto negli Usa, proprio per non pagare le sovratasse. Ecco, quindi, il punto della situazione.
Si abbassano tutti i dazi ma non quelli sull’auto
Dopo aver dato il via, lo scorso 2 aprile, alle tariffe sull’import per le merci che arrivano da tutto il mondo, Trump ci aveva subito ripensato. Non era passata neanche una settimana. Dal 20% sui prodotti made in Ue era passato al 10, applicando la stessa tariffa a quasi tutti i Paesi del mondo per novanta giorni, in attesa di negoziare. Fa eccezione la Cina, nemico geopolitico numero 1: sul gigante asiatico conosciuto come “la fabbrica del mondo” rimane infatti un +145%.
La Cina ha subito risposto al colpo applicando una tariffa di ritorno del 125% sulle merci importate dall’altra parte del Pacifico. Occorre, però, tenere presente la disparità sull’import-export tra i due Paesi. Dalla Cina agli USA, infatti, viaggiano circa 450 miliardi di dollari di merci l’anno, mentre dagli Usa alla Cina solo un quarto: 145 miliardi.
E l’Europa?
L’Europa, dal canto suo, resta al momento “graziata”: se una merce costa 100 dollari, il produttore che la importa su suolo americano dovrà pagare “solo” 10 dollari di sovratassa. Il discorso, però, cambia completamente sull’automotive: Trump ha infatti annunciato che le tariffe del 25% sulle auto (già attive dal 2 aprile) e sulla componentistica (che entreranno in vigore dal 3 maggio) resteranno in piedi. E per ora non è cambiato nulla, nonostante lunedì scorso abbia detto «di considerare la sospensione dei dazi sull’auto per permettere alle Case di modificare le catene di approvvigionamento».
L’obiettivo è far sì che i colossi dell’auto arrivino a spostare l’intera filiera produttiva negli Stati Uniti, ma la mossa potrebbe portare a un aumento del costo finale di un’automobile dai 5 ai 10mila dollari. Anche perché nessun costruttore, ad oggi, realizza le proprie vetture in un solo Paese, tantomeno negli States. Neanche la super americana Ford. Lo dimostra il Wall Street Journal, che ha analizzato la struttura di un F-150: le componenti arrivano da Messico, Canada, Corea del Sud e Romania, solo per dirne alcuni.
Peggio di Covid e crisi del 2008
Il previsore del settore automobilistico S&P Global Mobility ha stimato che nel corso del 2025 la vendita delle auto sul mercato americano calerà di 700mila unità rispetto alle aspettative, che parlavano di cifre superiori ai 16 milioni di veicoli. Secondo S&P, «solo le revisioni dovute all’interruzione globale della produzione nel 2020 a causa del COVID e alla crisi finanziaria globale del 2008–09 sono state più rilevanti di quelle attuali in termini di vendite e produzione».
Le reazioni delle Case
E infatti, diverse Case hanno già sospeso le esportazioni verso gli USA: rientrano nella categoria Volkswagen, Audi, Jaguar (che vende un terzo delle sue auto oltreoceano) e Mitsubishi Motors. I dirigenti dei colossi automotive non si sono fidati nemmeno delle rassicurazioni che Trump ha fornito lunedì, vista la volatilità delle sue dichiarazioni.
E ha preso contromisure anche Nissan, che secondo Reuters taglierà l’export del suo suv Rogue (il modello che va meglio negli USA tra quelli della gamma). Dall’impianto di Kyushu, nel Giappone meridionale, usciranno infatti 13mila veicoli in meno, equivalenti a un quinto di quelli spediti oltre il Pacifico. Nissan ha inoltre promesso di sospendere le importazioni di Infiniti QX50 e QX55, realizzate in Messico.
Ford, invece, ha offerto dei super sconti a chi si affretta a comprare prima che la mannaia delle tariffe faccia schizzare i prezzi alle stelle. Stellantis, invece, ha interrotto le linee di due stabilimenti in Canada e in Messico, mentre Mercedes e Volvo potrebbero muovere la produzione negli USA.