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Anni ’50: 5 auto che hanno fatto la storia

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Pubblicato il 17 March 2020
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5 auto che hanno fatto la storia negli anni Cinquanta

La conquista delle libertà negli anni ’50 passa attraverso l’automobile. Gli sfarzi di due decenni prima sono un ricordo tra le macerie appena sgomberate dell’ultima guerra, ma sia nei paesi più toccati tra cui l’ltalia, sia in quelli dove il conflitto ha lasciato meno devastazione, la gente ha voglia di benessere.

Proprio l’auto non è vista come una semplice necessità, da soddisfare senza troppa attenzione a forma e contenuti, c’è infatti voglia di oggetti piacevoli, gratificanti per gli occhi e per il gusto del possesso che accompagna la ricostruzione sulla strada verso il miracolo economico.

E non vale solo per il pubblico più abbiente, anche per quello con meno possibilità ma comunque desideroso di qualcosa in grado di appagarlo, un’ambizione che proprio a metà degli anni 50 inizia ad essere finalmente soddisfatto.

Ecco allora 5 auto che secondo noi hanno fatto la storia degli anni Cinquanta.

INDICE
 Mercedes 300 SL
 Alfa Romeo Giulietta
 Citroen DS
 Fiat 500
 Mini

Il 1954 è l’anno della Mercedes 300 SL. Basta guardarla per accorgersi che non è un’auto come le altre. Le portiere che si aprono verticalmente, dall’inconfondibile andamento che le vale il soprannome Gullwing, “ala di gabbiano”, derivano da un’esigenza tecnica, quella di rivestire un telaio a traliccio tubolare derivato da quello delle SLR da corsa.

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Anche il motore a 6 cilindri in linea da 3 litri è destinato a fare la storia: deriva da quello utilizzato sull’ammiraglia 300, ma con in più l’iniezione diretta, usata per la prima volta su un’auto stradale, che gli permette di sprigionare 215 CV, ed è montato nel cofano leggermente ruotato per contribuire a tenere bassa la linea del cofano.

Le prestazioni sono notevoli, così come è notevole la possibilità di determinarle scegliendo il rapporto al ponte tra 5 differenti coppie coniche, altra caratteristica che l’accomuna ad un’auto da corsa. La velocità massima può quindi andare dai 220 km/h per chi sceglie la soluzione più “corta “ e reattiva, e fino a 250 km/h per chi invece privilegia l’allungo.

I punti deboli sono principalmente due, un retrotreno un po’ scorbutico malgrado il differenziale autobloccante ZF,  e un accesso all’abitacolo piuttosto complicato specie per il pubblico non giovanissimo che può permettersi di spendere i circa 30-32.000 marchi (poco meno del doppio della più tranquilla ma già esclusiva 190 SL introdotta nel ‘55) necessari ad acquistarla. A entrambi i difetti si pone rimedio nel ’57 trasformando la 300 SL in Roadster con porte convenzionali e telaio modificato e dotando il ponte posteriore a semiassi oscillanti di una molla centrale.

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Nella primavera del 1955 in Italia esordisce l’attesa Alfa Romeo Giulietta, una berlina che contrariamente alle abitudine, causa qualche ritardo nello sviluppo si è fatta precedere dalla riuscitissima Coupé Sprint. Il che non rappresenta un limite al suo successo, anzi: lunga appena 4 metri e con un peso di soli 900 kg, la Giulietta è la prima berlina compatta Alfa, spinta da un vivace 1.3 da 50 CV destinati ad aumentare nelle evoluzioni successive fino a toccare i 74 con l’ultima TI, capace di raggiungere i 155 km/h.

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La carrozzeria, pur sportiva, non tralascia gli elementi più alla moda come le cromature e le pinne posteriori, inizialmente appena accennate e poi enfatizzate sulla seconda serie del ’59. La Giulietta concretizza i sogni di molti italiani, offrendo una vettura agile e veloce ma con quattro porte, un abitacolo comodo, un bagagliaio spazioso e, ciliegina sula torta, un prezzo relativamente accessibile per chi ha negli occhi e nelle orecchie le glorie delle Alfa d’anteguerra.

Pochi mesi dopo, al Salone di Parigi del  ’55 la scena è tutta per la Citroen DS: se il suo destino è diventare un’icona, capace di apparire come un’oggetto fuori dal tempo anche molti decenni dopo, è merito di chi l’ha disegnata: l’estro di Flaminio Bertoni, artista puro prestato al mondo dell’auto e capace di concepire la forma senza preoccuparsi troppo dei vincoli tecnici, ha determinato una linea quasi aeronautica.

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A farla entrare nella storia sarà però anche la genialità di alcune soluzioni tecniche sviluppate al solo scopo di posizionarla tra le vetture di prestigio, diversamente dalla 2CV, uscita nel ’48 con una missione più popolare. Il più celebre è la sospensione idropneumatica, che la rende confortevole sugli ostacoli dandole anche stabilità, tenuta di strada e la possibilità di variare l’altezza da terra. Un telaio talmente versatile da consentire l’impiego di questa vettura anche nelle competizioni tra le quali è annoverata anche una storica partecipazione al rally di Montecarlo del ’56 con vittoria di classe.

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Il suo punto debole, oltre ad un dondolio non gradito a tutti, è il motore: non perché il 1.9 a 4 cilindri dell’esordio, ereditato dalla Traction Avant, sia inadeguato, ma perché appare l’unico elemento convenzionale in una vettura innovativa sotto tutti gli aspetti, un gap causato da problemi di sviluppo del 6 cilindri boxer inizialmente previsto.

E se è vero che la 600 a partire dal ’55 ha motorizzato l’Italia, si più dire che la Fiat 500, lanciata appena due anni dopo, debba riuscire nell’intento di motorizzare gli italiani, soprattutto i più giovani. Con lei, grazie all’inventiva di Dante Giacosa, si realizza il sogno di una vetturetta “minima” a cui i dirigenti Fiat pensavano già da parecchio.

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Lunga appena tre metri, spinta da un piccolo ma inesauribile motore due cilindri da 499 cc raffreddato ad aria con 13 CV, diventerà per moltissimi italiani “la macchina”, in grado di accogliere intere famiglie con bagagli e percorrere pazientemente l’Italia intera negli esodi vacanzieri, diventando anche un’arma nella competizioni su strada e pista grazie alle elaborazioni di specialisti come Abarth e Giannini.

Anni '50: le auto che hanno fatto la storia

Eppure, subito non entusiasma: per il prezzo di 490.000 lire, l’equivalente di un anno di stipendio di un operaio tredicesima compresa, è giudicata troppo spartana, con accessori, e comandi ridotti al minimo, poco rifinita e poco potente (tocca a malapena gli 85 km/h), tanto che la casa deve prendere provvedimenti pochi mesi dopo il lancio, abbassando il prezzo, rinvigorendo il motore fino a 15 CV e proponendo una variante meglio accessoriata a cui seguiranno nel decennio successivo le popolarissime F ed L.

Negli Anni ’90, a 15 anni dall’uscita, sarà onorata da una prima erede anche se molto differente, mentre il revival vero e proprio arriverà nel 2007.

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La risposta inglese alla 500 si chiama Mini ed è frutto della matita di Alec Issigonis, un altro ingegnere capace di coniugare innovazione ed economia con un talento per l’economia.

A volere a tutti i costi un’auto piccole ma “vera” in questi anni è nientemeno che i presidente della BMC, infastidito dalla moltitudine di microcar e bubble car che popolano l’Inghilterra dopo il conflitto, e la vetturetta che arriva nel ’59, oltre ad essere a tutti gli effetti un’auto pratica e persino spaziosa, presenta anche la novità della trazione anteriore, soluzione ancora in gran parte inedita. Issigonis la adopera per ottimizzare lo spazio e semplificare la meccanica, che prevede anche un’unica coppa per motore (un 4 cilindri di 848 cc e circa 35 CV) e cambio che sono lubrificati dal medesimo olio.

Anni '50: 5 auto che hanno fatto la storia

La Mini debutta con due marchi e due nomi, venduta come Austin Seven e Morris Mini Minor, e diventa l’utilitaria preferita dalle signore inglesi. Almeno fino a che un certo John Cooper non inizierà a metterci le mani sopra, realizzando le celeberrime versioni elaborate 1.0, 1.1 e 1.3 S, quest’ultima capace di vincere ben quattro Rally di Montecarlo, uno dei quali (quello del ’66) revocato per colpa dei fari supplementari non omologati…

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La sua carriera proseguirà praticamente senza interruzioni, con il passaggio di Mini a vero e proprio brande una dinastia moderna sviluppata sotto BMW che prenderà il posto della classica all’inizio del nuovo millennio.

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Pubblicato il 17 March 2020
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