Da diversi mesi il settore dell’auto è stato travolto dalla cosiddetta crisi dei chip: i preziosi processori e i semiconduttori usati per produrli scarseggiano sul mercato dall’anno scorso. Questa carenza di rifornimenti sta avendo ripercussioni sulle case automobilistiche di tutto il mondo, con ridimensionamenti della produzione e ritardi, anche importanti, nelle consegne.
INDICE |
Perché c’è carenza di chip |
La situazione attuale |
Scenari futuri |
Una possibile via d’uscita |
La pandemia da Covid-19 ha messo in seria crisi la produzione industriale dei chip su scala globale, con effetti più o meno tangibili a seconda del settore. L’automotive è stato certamente uno di quelli più colpiti. Tutto è iniziato con il lockdown dello scorso anno: le restrizioni sanitarie hanno implicato, com’è ovvio, un ridimensionamento dell’offerta di chip e semiconduttori, al giorno d’oggi un tassello fondamentale nella produzione di un’autovettura.
In più, con miliardi di persone in tutto il mondo costrette a lavorare o studiare da casa, la domanda di processori per telefonia, computer, elettronica di consumo, è schizzata alle stelle. Allo stesso tempo, importazioni ed esportazioni sono diventate operazioni estremamente complicate e il calo momentaneo nella vendita di automobili ha fatto sì che i produttori di chip privilegiassero le imprese più in crescita, a scapito dell’automotive. Risultato: non solo si è ridotta la disponibilità di processori, ma inoltre quelli rimasti sono stati dirottati verso altri settori.
Ma non è finita. A esacerbare ulteriormente la situazione, ci si sono messi due diversi incidenti, avvenuti a marzo di quest’anno. Per prima cosa, un incendio in un impianto della Renesas Electronics (grande azienda giapponese di componenti elettroniche) ha causato lo stop della produzione. Pochi giorni dopo, la portacontainer Ever Given ha bloccato il Canale di Suez, principale via di comunicazione per mare tra Asia ed Europa, scatenando il caos nella grande logistica internazionale e causando ulteriori ritardi.
Tutto questo non poteva che avere grandi ripercussioni sul comparto automobilistico, che sempre più necessita di componenti provenienti da diverse parti del mondo e che da solo, in Europa, copre più del 40% della domanda di chip. I tempi di consegna di un veicolo sono in molti casi raddoppiati, con attese che possono tranquillamente superare i 6 mesi.
I produttori stanno cercando di risolvere in ogni modo la situazione: ridimensionando la produzione, togliendo optional dai listini per razionalizzare l’uso di processori, studiando come prodursi i chip in casa. Ma anche questa soluzione più estrema non è immediatamente attuabile, dato che produrre un chip è un’operazione complessa che deve rispettare degli standard molto elevati.
Il problema è così impattante sull’economia generale che anche le istituzioni si stanno muovendo per cercare di risolvere la questione nel più breve tempo possibile. Per esempio, l’Unione Europea sta spingendo per la creazione di un’alleanza dei chip che permetta di raddoppiare la produzione interna all’UE entro il 2030. Gli Stati Uniti, invece, dovrebbero erogare un finanziamento governativo di circa 50 miliardi per la costruzione di nuovi stabilimenti di semiconduttori e processori.
Ad ogni modo, la situazione muta radicalmente a seconda della casa automobilistica. Tesla, per esempio, è estremamente dinamica al punto che può cambiare in poche settimane un componente sostituendolo con uno disponibile senza avere ripercussioni sul prodotto finale. Questo discorso non vale per i marchi tradizionali: cambiare in continuazione vuol dire dire anche aumentare i costi, arrestare la produzione: in pratica riconsiderare un progetto nella propria totalità.
In ogni caso il mondo dell’automotive dovrà convivere con la mancanza di approvvigionamenti almeno per un altro anno. Questa è la stima di Jean-Marc Chery, amministratore delegato di STMicroelectronics, l’azienda italo-francese che produce componenti elettronici a semiconduttore. “In questo momento non è possibile aumentare la produzione, dovremo fare i conti con la crisi fino al 2023 – le sue parole – Nei prossimi mesi la produzione non riuscirà a soddisfare la domanda, anche se ci stiamo adoperando per risolvere la situazione. È possibile acquistare nuovi macchinari per aumentare la quantità prodotta, ma ci vogliono anni per costruire da zero un ambiente in cui realizzare microchip”.
Un piccolo spiraglio potrebbe arrivare dalle fonderie minori, messe in disparte dai produttori di dispositivi per la loro arretratezza nei processi produttivi. La mancanza di chip ha fatto ripensare tutto e tante aziende ora si rivolgono alle fonderie più piccole anche se garantiscono soluzioni tecnologiche di livello inferiore. Samsung, TSMC e Intel hanno le proprie linee produttive sature e questo ha portato tante aziende a rivolgersi a produttori minori, come Microchip, Onsemi, Infineon, STMicroelectronics e NXP Semiconductors che attualmente hanno conquistato una buona fetta di mercato.
Le nuove condizioni hanno portato queste fonderie minori ad avere maggiori poteri contrattuali e di conseguenza più entrate. Questo permette loro di ammodernare la filiera produttiva, anche se va detto che l’uso di processi produttivi vecchi non è un grosso problema per un settore come l’automotive. Il mondo dei motori, infatti, preferisce puntare su un processo più collaudato e sicuro e già testato in altri settori, invece che scegliere tecnologie all’ultimo grido, ma che non sono in grado di assicurare le stesse certezze e di garantire affidabilità.